Stadio Berlino

Berlino, dal nostro corrispondente – L’Italia ha abbandonato EURO 2024 a coronamento di una campagna contraddittoria e confusa e di una partita con la Svizzera che definire oscena è quasi esprimere un complimento.

La premessa dovuta è che non avevamo una nazionale fortissima, per carità, ma neppure era lecito pensare di avere a disposizione un’armata assai simile a quella del Brancaleone cinematografico.

Già alla lettura delle formazioni siamo rimasti stupiti per gli uomini scelti, nell’ennesima mini-rivoluzione con il solito, inspiegabile, cambio di modulo e protagonisti. Morale della favola, devi affrontare la prima partita da dentro o fuori del torneo e cambi ancora affidandoti a giocatori che non avevano mai visto il campo o lo avevano calpestato per pochi insignificanti minuti.

Quello a cui abbiamo dovuto assistere è stata così una partita umiliante in cui gli svizzeri ci hanno impartito una lezione di calcio che, probabilmente, a Coverciano, insegnano alla prima ora: squadra corta, ben organizzata, giocatori messi nelle posizioni giuste, possesso palla intelligente e veloce, aggressione alta e ripartenze letali ad ogni riconquista.

E noi? Lì a guardare come le belle statuine mentre gli altri ci nascondevano la palla, concedendoci solo briciole, che, comunque, se almeno avessimo saputo sfruttarle, potevamo anche trasformarsi in oro. Inevitabile pertanto il vantaggio elvetico di Freuler al 38’, sì proprio il rossoblù, ma tant’è.

Il rientro dagli spogliatoi è la fotografia più calzante dei danni arrecati dal mister italiano, Fagioli sbaglia l’appoggio sul calcio d’inizio e, sulla riconquista  gli svizzeri raddoppiano con Varga che si inventa un tiro a giro alla Del Piero, 2-0 e palla al centro.

Poi solo stucchevole palleggio e tentativi di sfondare al centro senza mai riuscire a trovare un varco che è uno. La dea bendata, a dire il vero, ci ha messo del suo con due legni colpiti, ma ciò non cambia il giudizio complessivo.

Mai in vent’anni che, chi vi scrive segue l’Italia in trasferta in giro per l’Europa, aveva visto una Nazionale così imbelle e indifesa, debole, confusa, sparpagliata in campo, con giocatori messi fuori ruolo e poco reattivi.

A livello fisico impresentabili, a livello mentale indifesi ed incapaci di orchestrare una qualsivoglia reazione, non eravamo tra i favoriti, ma neppure così scarsi come ci ha fatto apparire Spalletti.

Ci sono personaggi che filosofeggiano di fronte ai giornalist, lasciando gli astanti spesso senza parole, stupiti e disarmati, ma se i risultati in campo arrivano, allora ci si limita ad un’alzata di spalla ed ad uno scuotimento rassegnato del capo. Però, quando il prodotto è questo, allora i dubbi sono tanti e ben fondati.

Il mestiere del CT è ben diverso da quello dell’allenatore; questi ha tempo per insegnare e far crescere i suoi giocatori permeandoli delle proprie idee e rendendo gli automatismi funzionali.

Il commissario tecnico deve invece saper sceglier nel parco giocatori (scarsino, e nei numeri e nella qualità, il nostro), cucirgli addosso un abito semplice e coerente, ma, soprattutto deve saper gestire al meglio il gruppo, tutto quello che Spalletti ha dimostrato di non saper fare.

Sintomatico come l’Italia abbia vissuto i suoi momenti peggiori proprio in avvio d’ogni tempo, guarda caso dopo le parole dette dal mister ai ragazzi negli spogliatoi, quasi che, anziché rassicurarli e dargli delle chiavi di lettura giuste, li confondesse ulteriormente, sgretolando le loro sicurezze e mandandoli in confusione.

Ah, un’altra cosa: in queste manifestazioni (europei, mondiali) nessuno chiede di giocar bene, ma di vincere, e possibilmente di presentarsi atleticamente e mentalmente pronti, tutti elementi a noi mancati.

E adesso? Cosa ci aspetta nell’immediato futuro? Dopo il disastro tedesco la Federazione ha confermato di credere in Spalletti. Scelta giusta? A nostro modo di vedere, è vero che Spalletti ha l’alibi di aver sostituito Roberto Mancini undici mesi fa, ma dopo una debacle del genere, forse sarebbe stato meglio affidarsi a una figura meno ingombrante, ma più congrua e serena rispetto al tecnico toscano. Una figura in grado di fare anche solo poche cose, ma farle bene. E di trasmettere la tranquillità delle proprie certezze.

Gravina sembra aver scelto. Ma quale strada sceglierà, insieme al tecnico toscano, per rinvigorire la Nazionale?

DiGiuseppe Floriano Bonanno

Nato a Torino nel 1964 e laureato in giurisprudenza a Bologna nel 1990, da una vita lavora in un’azienda top nel mondo del banking. Appassionato di sport, letteratura e viaggi, ha contribuito a diverse riviste online focalizzate su calcio e cultura. Inoltre, ha arricchito il suo percorso pubblicando una serie di romanzi.