Il Football Club Pro Vercelli, noto semplicemente come Pro Vercelli, è uno dei club calcistici più antichi e titolati d’Italia, vanta infatti nel proprio palmarès ben sette scudetti, vinti tra il 1908 e il 1922, ma, dopo appena 6 campionati nel neonato girone unico, al termine della stagione 1934/35, retrocesse in serie B, non riuscendo mai più a ritornare nella massima divisione.
Tanti sono i record detenuti dai bianchi, sono infatti l’unica squadra di città non capoluogo di regione pluriscudettata e, in condominio con la Novese, l’unica ad aver vinto il titolo da neopromossa (nel 1908).
Tra i calciatori più rappresentativi che militarono nelle file del club piemontese possiamo ricordare il difensore Virginio Rosetta e gli attaccanti Silvio Piola e Pietro Ferraris, tutti e tre campioni del mondo con la Nazionale di Vittorio Pozzo.
Le origini della società risalgono alla fine del XIX, esattamente al 1892, quando, per merito del Prof. Domenico Luppi, vide la luce la Società Ginnastica Pro Vercelli, poco più di dieci anni dopo, nel 1903, venne istituita anche una sezione per il calcio grazie all’entusiasmo di Marcello Berinetti, che dopo essersi recato a Torino per assistere ad una partita della Juventus, comprò un pallone per istruire i suoi amici a questa nuova arte.
A lui, che fu anche un famoso schermidore, e a tre dei suoi amici, Piero Albertini, Adolfo Severi e Francesco Visconti, di deve quindi la creazione della squadra di calcio.
Come spesso accade nelle leggende, la maglia iniziale, bianca a strisce nere (in omaggio alla Juventus) essendo di lana scadente, al primo lavaggio si stinse e, allora, i giocatori scelsero di giocare con la camicia bianca (per intenderci quella della domenica e delle feste) che, abbinata a calzoncini neri, fece da lì a poco nascere la leggenda delle ‘Casacche bianche’, onorata, tempo dopo, da altre squadre come lo Spezia ed il Derthona, che ne adottarono colore e stile, e persino dalla Nazionale, che disputò le sue prime due partite proprio in ‘bianco’, data l’assenza, per squalifica, dei giocatori due volte campioni d’Italia (nel 1908 e nel 1909).
Il primo storico presidente fu l’avvocato penalista Luigi Bozino, dirigente illuminato e avanti “anni luce” rispetto ai colleghi dell’epoca, che guidò la società per trent’anni, in pratica sino alla sua morte.
Dopo i primi passi amatoriali la Pro Vercelli, nel 1906, si iscrisse alla F.I.F. (l’attuale F.I.G.C.) disputando il suo primo campionato, in Seconda Categoria, dove fu subito eliminata dalla squadra riserve della Juventus di Torino, ma già l’anno dopo vinse il campionato ottenendo il diritto a partecipare alla massima divisione dell’epoca (insieme al Campionato Federale di Prima Categoria 1908, in seguito disconosciuto dalla FIGC).
E lì, a sorpresa, e stupendo il mondo calcistico dell’epoca, i bianchi riuscirono a compiere l’impresa di vincere il titolo nazionale avendo la meglio, nelle eliminatorie regionali, della Juventus e superando poi, nella finale a tre, la U.S. Milanese e i genovesi dell’Andrea Doria. Il 2 maggio 1908, vincendo in trasferta contro l’U.S. Milanese, i bianchi si aggiudicarono matematicamente il primo, storico, titolo e l’abbinata Coppa Romolo Buni.
A raccontarla tutta quello fu uno strano campionato, in quanto vi presero parte squadre formate solo da calciatori italiani, mentre quelle che annoveravano nelle proprie fila gli stranieri vennero dirottate su un campionato parallelo, detto ‘federale’, sempre organizzato dalla FIF, che fu vinto dalla Juventus. In quello stesso anno la Pro vinse anche il Campionato Federale di Seconda Categoria.
Nel 1909 la Pro Vercelli ripetè l’impresa dell’anno precedente confermandosi campione d’Italia, dopo aver superato, nell’ordine, il Torino, il Genoa e, nella doppia finale, la solita U.S. Milanese aggiudicandosi così il Campionato Federale di Prima Categoria e la Coppa Zaccaria Oberti abbinata alla vittoria del campionato. Nel parallelo “Campionato italiano” di Prima Categoria, che metteva in palio la Coppa Romolo Buni, e vinto dai bianconeri juventini, la Pro dette forfait nelle eliminatorie piemontesi contro la Juventus, permettendole così di accedere alla fase nazionale.
Era un calcio d’antan, pionieristico in tutto, dagli impianti all’organizzazione, dalla diffusione agli spostamenti, in cui tuttavia si iniziavano a far strada figure di ‘eroi’ del pallone che accendevano gli entusiasmi e l’immaginario collettivo delle folle, tra questi, in casa vercellese, i centrocampisti Ara e Leone e il giovanissimo attaccante Rampini, classe 1891, tra i principali artefici dei primi 2 scudetti e, poco dopo, tutti e tre convocati per le prime gare della Nazionale maggiore.
Giusto per capire come andavano a quei tempi le cose, una volta la squadra andò a disputare un torneo a Casteggio, distante 70 km, in bicicletta, arrivati ad un ponte sul Ticino, i giocatori cercarono di fare i furbi per non pagare il pedaggio, ma i battellieri se ne accorsero e pescarono l’ultimo della fila, Sessa, che aveva imparato ad andare in bici per l’occasione, costringendolo così a pagare per tutti.
Nel 1909-10, per la prima volta, si sperimentò in campionato la formula del girone unico all’italiana, la Pro Vercelli era naturalmente la principale favorita, ma trovò sulla sua strada una nuova formazione assai agguerrita, l’Internahttps://www.inter.it/itzionale, neonata squadra milanese, che terminò al primo posto in classifica, a pari merito con i bianchi, rendendo così necessario disputare uno spareggio per assegnare il titolo.
A quei tempi le cose erano gestite in modo molto amatoriale, non c’erano regole rigide ed appuntamenti stringenti, così la Pro, dopo aver chiesto ed ottenuto un primo rinvio per giocare (sigh) un’amichevole (oltretutto mai disputata), ne richiese un altro perchè tre dei suoi migliori giocatori erano impegnati in un torneo militare. L’Internazionale però si oppose adducendo a motivazione che un altro rinvio avrebbe fatto coincidere la partita con le proprie amichevoli. La Federcalcio, tutta presa dall’organizzazione dei primi incontri amichevoli della Nazionale, ritenendo che in realtà le richieste della Pro di posticipare lo spareggio-scudetto fossero solo una tattica dilatoria per cercare di guadagnare tempo e poter così recuperare i propri giocatori infortunati (visto che la precedente amichevole non era stata nemmeno disputata), non concesse la proroga. Per protesta, il 24 di aprile, data dello spareggio, il presidente Bozino fece schierare la Pro Vercelli con gli undicenni della Squadra Ragazzi, che finirono per perdere 10-3.
Per questo episodio e per la singolarità della protesta, tutti i membri della società piemontese vennero multati dalla F.I.G.C. per condotta gravemente antisportiva. Ai vercellesi andò dunque il titolo ‘onorifico’ di “Campione italiano”, che, secondo il regolamento dei campionati 1909-10, spettava alla migliore classificata tra le squadre “pure italiane” (prive cioè di stranieri), mentre il titolo di ‘Campione Federale’ finì all’Inter.
L’esito amaro e sconcertante della vicenda dette però nuovo impulso alle ‘Bianche casacche’ , che seppero rifarsi nei tre anni successivi, quando riuscirono a conquistare tre titoli consecutivi (1910-11, 1911-12, 1912-13), avvicinandosi così al Genoa, primatista di vittorie nell’albo d’oro. Il segnale della forza della Pro Vercelli del tempo lo si può desumere dall’amichevole disputata e vinta per 1-0 a Torino, il 1º maggio 1913, tra le nazionali di Italia e Belgio, in cui ben nove giocatori della Pro Vercelli vennero schierati tra i titolari.
Nel campionato 1913-14 la Pro Vercelli, tri-campione in carica, fallì per un sol punto l’accesso alla fase finale del torneo, sopravanzata dal Genoa e dall’emergente Casale, la cui storia faceva pendant con quella dei bianchi. La giovane società monferrina, guidata dal rampante presidente Raffaele Jaffe, guardava ai trionfi vercellesi con risentimento, dovuto a forti motivi di campanilismo, e si era posta come obiettivo primario proprio quello d’insidiare il primato della Pro. Non a caso venne scelto per le divise il colore nero, in antitesi con le ‘Bianche Casacche’, e, in pochi anni, venne allestita una squadra molto competitiva che, proprio in quell’anno, riuscì a strappare lo scudetto dalle maglie dei vercellesi.
La rivalità tra i due club è, da allora, rimasta fortissima non venendo mai meno, anche dopo la nascita e la crescita di altre importanti realtà sportiva in quella zona del Piemonte Orientale, quali l’Alessandria ed il Novara, che andarono a completare il cosiddetto quadrilatero piemontese che plasmò, nel periodo tra le due guerre mondiali, tanti giocatori importanti .
Dopo la prima guerra mondiale, che aveva lasciato grandi macerie e lutti, anche nel mondo del calcio tra giocatori e dirigenti, la Pro Vercelli fu tuttavia abile a ricostruire e a riconfermarsi così tra i più forti club italiani, lanciando, tra gli altri, Virginio Rosetta (successivamente perno della difesa della Juventus del Quinquennio d’Oro, nonché bronzo alle Olimpiadi di Amsterdam e campione del mondo a Roma nel 1934) e vinse, nel 1920-21, il sesto scudetto, battendo nella finalissima il Pisa per 2-1.
L’anno dopo, il 1922, avvenne la scissione all’interno della Federazione, spaccata dalle proteste dei piccoli club, che si sentivano poco tutelati. I bianchi, dal canto loro, seppero comunque aggiudicarsi il settimo scudetto, grazie alla vittoria del Campionato C.C.I.; fondamentali allo scopo furono le vittorie nella finale di Lega a Genova, il 14 maggio 1922, e nella doppia finale Nazionale contro la Fortitudo Pro Roma. All’apice della sua popolarità, la Pro Vercelli venne così invitata in Brasile per una serie di amichevoli e fu l’unica squadra a non essere battuta in occasione della tournée italiana del Liverpool.
Quello del 1922, anche se all’epoca nessuno avrebbe potuto immaginarlo, fu l’ultimo scudetto vinto dalle ‘Casacche bianche’: con la crescita delle squadre milanesi e torinesi e del Bologna, in concomitanza con la diffusione del professionismo (destò clamore, nel 1923, il passaggio di Rosetta alla Juventus per le cifre offerte al giocatore da Edoardo Agnelli), la Pro , saldamente legata ai valori dello sport dilettantistico, perse peso e quotazioni, così come accadde, lentamente, a tutte le squadre appartenenti a quel grande laboratorio di talenti che era stato il “quadrilatero piemontese”.
Chiudendo al quinto posto in classifica il campionato 1928-29, i bianchi ottennero la possibilità di giocare la prima edizione della Serie A (stagione 1929-30). Nel 1929 la Pro Vercelli lasciò il suo primo, glorioso, stadio, il “Foro Boario”, per il nuovo impianto di via Massaua, intitolato inizialmente all’aviatore ‘Leonida Robbiano’.
Nei primi anni trenta esplose il talento del giovane Silvio Piola, prodigioso attaccante che resse le sorti della squadra per cinque stagioni e che poi venne, per ragioni ‘politiche’ dirottato alla Lazio nel 1934 (pare che il Duce avesse simpatie biancocelesti) . Senza più il suo goleador, la Pro Vercelli perse smalto ed il suo mito crollò definitivamente.
Al termine del campionato 1934-35 i piemontesi retrocessero tra i cadetti, lasciando la Serie A, per sempre…