Buffon

Disputare la finale di Champions League rappresenta un traguardo per chiunque. Ma per Gigi Buffon, senza dubbio, la gara di Berlino ha un significato più intimo. Lui che, dopo essere diventato campione del Mondo proprio in Germania, nel 2006 decise di ripartire dalla Serie B con la Juventus, dando una battuta d’arresto alla sua fame di titoli. Prima di tornare a vincere con la Vecchia Signora avrebbe dovuto aspettare il 2012. E per provare a prendersi quella Coppa, una delle poche a mancare dal suo palmares, avrebbe dovuto aspettare dodici anni. Tanti quanto sono quelli che ci separano dall’ultima finale di Champions giocata (e persa) dai bianconeri.

Nell’autobiografia di Sir Alex Ferguson, uno dei pochi atleti italiani a trovare una menzione speciale è Gigi Buffon. Del resto, di rado nella storia del calcio capita di vedere portieri così maturi, completi e decisivi.

Reattivo tra i pali e puntuale nelle uscite; una volpe nell’uno contro uno, sempre pronto a fare quel passo in più per provare a chiudere lo specchio della porta agli attaccanti avversari.

Il primo a intravedere le sue qualità è stato Nevio Scala, il tecnico che, a soli 17 anni, decise di mandarlo in campo dal primo minuto contro il MilanBucci era out, Nista era un secondo di sicuro affidamento. Ma Gigi aveva qualcosa in più. Era il 19 novembre 1995 e i rossoneri allenati da Capello non riuscirono a trovare la via del gol perché a bloccare le sortite di Roby BaggioWeahSimone e Albertini c’era questo teenager con la faccia da good guy, che volava da un palo all’altro e si gettava su ogni pallone senza il minimo timore.

“Se non ho subito gol è perché ho giocato pensando di disputare un match con la Primavera”. La tranquillità. Ecco un altro pregio di Gigi Buffon, che da lì a fine stagione giocò altre otto gare in Serie A, esordì in Under 21 e vinse l’Europeo di categoria.

Nella stagione seguente ci mise sette partite per rubare il posto a Luca Bucci che, a gennaio, fu costretto a cambiare aria, perché la competizione era impari. Buffon, per i ducali, diventò un elemento decisivo, tanto quanto CannavaroThuramDino BaggioCrespo e Chiesa. E il secondo posto in campionato fu merito anche suo.

Nella stagione successiva esordì in Champions League e in Nazionale. In una gara nient’affatto facile. Play-off per la qualificazione a Francia ’98. A Mosca c’era la bufera di neve e, dopo pochi minuti, il quasi indistruttibile Pagliuca, alzò bandiera bianca per infortunio. L’Italia portò a casa un prezioso 1-1 e Gigi fece il suo. A giugno si meritò a pieno diritto il suo posto nella spedizione azzurra guidata da Cesare Maldini.

Qualche mese prima, rilasciò una breve intervista a Topolino. Dichiarò che il suo sogno sarebbe stato parare un rigore a Ronaldo. Detto, fatto: durante Parma-Inter, con il risultato ancora fermo sullo 0-0, neutralizzò il penalty del brasiliano che, fino a quel momento, non ne aveva fallito uno in Italia. Poi, il Parma vinse 1-0 con gol di Crespo e, a fine gara, Gigi esultò indossando la maglia di Superman.

Tra il 1998 e il 1999 arrivarono i primi trofei, tutti sotto la gestione Malesani: Coppa UefaCoppa Italia e Supercoppa italiana. Così, a suon di prestazioni magistrali, nell’estate del 2001 la Juventus lo acquistò per la cifra record di 105 miliardi di lire, circa 55 milioni di euro.

In bianconero iniziò a essere decisivo fin dall’inizio, con interventi prodigiosi che proiettarono la formazione di Lippi alla vittoria del campionato nelle stagioni 2001-2002 e 2002-2003. In quest’ultima annata, le sue parate regalarono alla Juventus la finale di Champions League, dopo aver superato sia il Barcellona che il Real Madrid. Con i galacticos, Buffon parò il rigore a Figo e negò più volte la gioia del gol a Ronaldo. In finale, poi, nonostante le sue parate dal dischetto su Seedorf e Kaladze la vittoria andò al Milan.

Nel 2006, poi, il capolavoro in Nazionale: campione del mondo, con parate decisive che hanno scandito il cammino azzurro dalla prima gara con il Ghana all’ultima contro la Francia. E un Pallone d’Oro che, più che a Cannavaro, forse poteva andare a lui.

Dopo il Mondiale poteva avere vita facile, optando per una scelta simile a quelle di ThuramVieira e Zambrotta, lasciando la barca che affondava per via di calciopoli. E invece, Gigi, rimase in B insieme a Del PieroCamoranesiNedved e Trezeguet, mettendo le basi per una rinascita che, passo dopo passo, è arrivata.

E adesso, a 37 primavere, si ritrova allo stesso punto in cui era dodici anni fa. Campione d’Italia e con una finale di Champions da giocare. Stavolta meriterebbe di vincerla, per mettere la ciliegina sulla torta a una carriera sportiva come poche. MessiNeymar e Suarez permettendo.

DiAndrea Motta

Tra i massimi esperti di SEO Internazionale in Italia, dal 2013 è iscritto anche nell'albo dei giornalisti pubblicisti. A Catania si è innamorato del giornalismo sportivo; a Londra si è tolto la soddisfazione di collaborare per il Guardian e il Daily Mail.