Spalletti

11 luglio 2021, a Wembley, sotto un diluvio beneaugurante, gli azzurri spegnevano le ambizioni di vittoria dei ‘maestri’ inglesi trasformando il loro stucchevole coro ‘ It’s coming home’, in quello a noi ben più gradito ‘It’s coming Rome’ sollevando al cielo la insperata, ma meritata, Coppa Henri Delaunay.

Cos’è  successo in questi due anni? Tutto e niente!

L’Inghilterra, dopo la delusione e le inevitabili polemiche successive all’ennesima mancata vittoria in una grande manifestazione, ha proseguito la sua crescita esponenziale, aggiungendo nel suo motore già ben rodato un autentico fenomeno qual è Bellingham, affermandosi come una delle potenze del calcio europeo, l’Italia invece…

Quasi come una punizione divina per aver osato vincere qualcosa che appariva fuori portata, è prima arrivata la scioccante eliminazione nelle qualificazioni per i mondiali qatarioti, poi, l’estate scorsa, l’altrettanto inatteso ‘tradimento’ del c.t. Mancini che si è dimesso farfugliando ragioni più o meno incomprensibili, che si è poi scoperto altro non erano che il vil denaro del principesco contratto offertogli dalla federazione dell’Arabia Saudita.

Due eventi che avrebbero abbattuto un toro, figuriamoci un movimento ingessato in vecchie abitudini e astringenti legacci, qual è il calcio italiano, sempre in affanno ed impelagato in polemiche e ripicche.

Ma al peggio non c’è mai fine, e, alla vigilia di un ciclo di partite determinanti per raddrizzare la balbettante classifica nel nostro girone di qualificazione ad Euro 2024, il ‘redivivo’ Fabrizio Corona (eh sì, a volte ritornano) ha pensato bene di far conflagrare l’ennesimo scandalo del nostro calcio gridando al mondo i nomi eccellenti di alcuni calciatori  oggetto di una inchiesta sulle scommesse illegali della procura di Torino.

Così, dopo il nome della promessa Fagioli, sono arrivati quelli ben più pesanti degli azzurri Tonali e Zaniolo.

E così il buon Spalletti, che già aveva i suoi problemi nel cercare di ricostruire una squadra a pezzi moralmente  e in concreto, con il percorso verso la qualificazione già parzialmente compromesso, ha dovuto far fronte a questo nuovo colpo basso allontanando i due azzurri coinvolti, ma, soprattutto, cercando di far quadrato per proteggere il gruppo da una situazione decisamente preoccupante e deprimente.

Se, con la volenterosa Malta, inserendo le seconde linee, è arrivata la goleada che ha dato un po’ di respiro all’ambiente e fatto risplendere qualche raggio di sole tra le nubi minacciose ed incombenti, con l’Inghilterra invece tutti i nodi sono venuti al pettine.

Infatti, assistere al secondo tempo contro l’Inghilterra è stato davvero avvilente, una sorta di incubo che ha spiazzato chi vi scrive, inchiodandolo al divano senza la forza di proferire verbo.

E dire che il primo tempo aveva lasciato sensazioni confortanti, la filosofia di mister Spalletti sembrava portata a memoria, con l’idea della costruzione dal basso e della pressione alta, con le sovrapposizioni sulle fasce e la sensazione di poter colpire senza troppe difficoltà quasi ad ogni affondo.

Con otto cambi rispetto a Bari, retto il primo urto dei Leoni, gli azzurri hanno sciorinato venti minuti di ottimo calcio, culminati con il gol di Scamacca a coronamento di un’azione costruita partendo dal basso, come predica il c.t.,  addirittura da un dribbling con il brivido di Donnarumma su Keane, e proseguita con una sovrapposizione letale di Di Lorenzo che serviva dal fondo  un assist al bacio per il centravanti della Dea.

I bianchi sono sembrati frastornati ed incapaci quasi di accettare mentalmente lo svantaggio, tant’è che gli azzurri hanno sfiorato il raddoppio in un paio di occasioni.

Ma è bastato un intervento in chiusura troppo leggero di Scalvini, per permettere a Bellingham, grazie anche ad un complice rimpallo, di presentarsi da solo in area, dove Di Lorenzo non poteva far altro che stenderlo, netto il penalty, nonostante la Var ci abbia messo più di due minuti a confermarlo. Kane ci ha messo invece un attimo a spiazzare Donnarumma regalando il pari ai suoi.

Il match si è riequilibrato e si sono viste azioni da una parte e dall’altra con i due portieri bravissimi a compiere un’intervento complicato a testa  che ha strozzato in gola l’urlo dei rispettivi fans, confesso lo avevo già visto dentro il tiro di Udogie a fine primo tempo.

La sensazione di aver sprecato troppo penso fosse un po’ comune a tutti i tifosi degli azzurri, anche se il timore  di perdere proprio non mi aveva sfiorato.

L’intervallo ha invece spento il sacro fuoco e già nei primi minuti della ripresa si è avvertito il sentore che qualcosa fosse mutato, mancava ad occhio la giusta determinazione, la consapevolezza di essere nel giusto e di dover continuare su quella falsariga.

Il collettivo, con il diminuire delle energie, si è sgretolato, la voglia di provarci da soli, inventandosi chissà quale mirabolante giocata, ha prevalso sulla necessità di giocare tutti per uno, da gruppo, soffrendo per portare il cuore oltre l’ostacolo.

Anche il gioco di Spalletti, come quello di tutti gli allenatori moderni, è un delicato equilibrio di movimenti, con e senza palla, che la squadra deve eseguire rimanendo corta e coesa, per aggredire senza esporsi, eludendo il pressing avversario partendo dal basso.

La smania di essere decisivi con un giocata individuale ci ha invece fatto sfilacciare sul campo e, da una nostra azione corale d’attacco, è nata una ripartenza letale, orchestrata da un’autentica magia di Bellingham che ha nascosto letteralmente la palla a Scalvini, per poi servire Rashford che, dal limite ha battuto Donnarumma con un gran tiro incrociato.

‘Capita anche ai migliori è solo necessario ricompattarsi e poi reagire con raziocinio’, immagino abbiano pensato tutti quelli che amano l’azzurro ed invece la lampadina non solo si è spenta, si è proprio fulminata.

Nonostante i cambi, che non hanno inciso per nulla, gli azzurri sono letteralmente spariti dal campo trasmettendo l’impressione di essere un’armata sconfitta, allo sbando, in totale balia dell’avversario che sembrava di due categorie superiori e che si è divertito a rendere ancor più evidenti tutte le nostre lacune.

Un po’ ci ha messo del suo anche il pessimo (nella gestione della partita) arbitro francese Turpin che non ha espulso Philips per secondo giallo per un’entrata durissima su Barella, 25’ di superiorità numerica avrebbero potuto cambiato le cose?

Non abbiamo la controprova, quindi non possiamo dire di sì, ma, se possibile, da quel momento, l’Italia è diventata ancora più confusa ed imprecisa, priva di idee e svuotata di energie fisiche e mentali, come immortalato dalla fotografia del terzo gol.

La coppia centrale del futuro, Bastoni-Scalvini, si è esibita in un’imbarazzante e goffa sagra dell’errore che ha aperto un’autostrada per Kane che, quasi incredulo per il regalo anticipato di Natale, ha completato la sua doppietta (sono 61 le sue reti in nazionale) con una conclusione ravvicinata che è sembrata una sentenza sui sogni azzurri  di grandeur.

Come indicato nel titolo di questo pezzo l’Italia è dunque più che mai intrappolata a metà del guado.

Ha dato la sensazione di applicarsi con la buona volontà di uno studente dotato sì, ma non troppo, che si concede ancora amnesie e titubanze tipiche di chi non si sente completamente a proprio agio e, soprattutto, all’altezza delle grandi aspettative.

Fino a giugno 2024 di tempo per crescere,  in convinzione, in certezze e negli automatismi, ce n’è di certo, però, c’è un però di troppo: prima bisogna raggiungere il traguardo di qualificarsi e, per quello, c’è poco meno di un mese.

Il 17 novembre a Roma ci sarà infatti  la sfida interna con la nostra bestia nera Macedonia del Nord, che andrà assolutamente vinta, e successivamente, il 20 a Leverkusen, ci aspetterà l’Ucraina per una sfida da cuori forti e con due risultati  a favore su tre visto che, a pari punti, siamo in vantaggio sia nella differenza reti che nello scontro diretto.

In ogni caso non sarà sfida da dentro o fuori perché, grazie alla semifinale raggiunta nella precedente Nations League, potremo comunque disputare l’eventuale spareggio tra le terze qualificate nei gironi, ma sarebbe davvero triste, se non umiliante, ridursi a quel punto.

Mi si conceda una chiosa finale, ieri si sono viste due squadre di cilindrata diversa, e non parlo di tattica e di gioco, perché quello si può allenare, ma proprio di valori tecnici.

Gli inglesi hanno un fenomeno assoluto, Bellingham, un bomber navigato e determinante, Kane, un centrocampo di forza e sostanza, una difesa rivedibile, che, come abbiamo evidenziato nel primo tempo, si può mandare in grossa difficoltà, un portiere affidabile.

Agli azzurri purtroppo manca la star, l’uomo che con il suo carisma possa trascinare gli altri, il livello medio è buono, ma di giocatori eccelsi ce ne sono pochissimi, e, questo, in una nazionale che non può andare sul mercato a colmare le sue lacune, è davvero un problema serio, strutturale.

Ci sono giovani interessanti, che possono crescere e molto, vedi Scalvini, Bastoni, Udogie, altri possono consacrarsi a giocatori di alto livello, Di Lorenzo, Barella, Chiesa, e altri ancora fare un salto di qualità importante, Scamacca e Berardi, ma è ancora troppo poco per una nazionale come la nostra che dovrebbe sempre ambire alla vittoria nelle grandi manifestazioni.

I competitors ad alto livello hanno ben altra caratura, e allora, come ha dimostrato Mancini regalandoci un inatteso ed isperato europeo, la differenza dovrà farla il collettivo e, quindi il manico, cioè Spalletti.

Sarà il nocchiero che dovrà quindi portare la nave azzurra fuori dalle secche e  farla attraccare in porto tra le corazzate e non tra le motovedette, il mare è molto tempestoso e non c’è quasi più tempo…

DiGiuseppe Floriano Bonanno

Nato a Torino nel 1964 e laureato in giurisprudenza a Bologna nel 1990, da una vita lavora in un’azienda top nel mondo del banking. Appassionato di sport, letteratura e viaggi, ha contribuito a diverse riviste online focalizzate su calcio e cultura. Inoltre, ha arricchito il suo percorso pubblicando una serie di romanzi.