L’Inter ha soffocato la Lazio con un’idea semplice e coraggiosa: alzare tutto. Dalla prima pressione al baricentro, fino al coraggio di restare uomo su uomo a campo aperto. Il gol di Lautaro dopo tre minuti, figlio di un recupero immediato e di un’uscita pulita sul lato forte con Bastoni, ha dato la cornice mentale perfetta: “comandare” la partita anche senza tenerla sempre tra i piedi. 

La chiave è stata la prima ondata: punte sui centrali laziali, mezzali aggressive sui mediani, quinti pronti a saltare in avanti sui terzini. Da lì nascevano due effetti: o riconquista alta, o palla lunga della Lazio, che l’Inter accettava volentieri perché preparata nella copertura preventiva (Acerbi/Bastoni dietro, Calhanoglu a schermare la seconda palla).

Chivu, nel dopopartita, l’ha messa giù chiara: “Siamo stati molto aggressivi”. E non a caso ha riconosciuto che i falli tattici alti sono parte del mestiere: termometro della pressione, non vizio. È uno “switch mentale” iniziato a inizio stagione: forzare ritmo e duelli, poi capire i momenti. 

Il rischio? Reale, e calcolato. Lasciando l’uno contro uno dietro, qualche ripartenza laziala è scappata via, e Gila ha pure colpito la traversa: qui è entrato in scena Sommer, sicurezza con i piedi e parafulmine quando l’Inter restava alta oltre la linea della palla. Il prezzo del biglietto del pressing, insomma. 

La gestione degli inneschi è stata matura: trigger su retropassaggio al portiere, su controllo spalle alla porta del mediano, e sul cambio lato lento. Quando la Lazio provava a uscire con l’ampiezza, i nerazzurri accorciavano di reparto: Dimarco aggressivo, Bastoni pronto a spezzare la linea sull’ala, mezzala in copertura del corridoio interno. È la stessa mano che ha reso l’Inter di Chivu più verticale e feroce nella riconquista. 

In avanti, la pressione ha prodotto campo corto e uomini dentro l’area: emblematico il 2-0, con l’asse Dimarco – Bonny dopo riaggressione e consolidamento alto. La Lazio si era appena allungata, e il cross “a rimorchio” ha chiuso la pratica. Dettaglio che racconta identità oltre i singoli. 

Chivu ha parlato di approccio “propositivo e dominante”, ma anche della capacità di gestire i momenti: quando la partita si è sporcata, l’Inter non ha abbassato l’idea, ha solo abbassato di dieci metri il blocco per togliere profondità e ripartire di seconda ondata. Pressare non significa correre a testa bassa: significa saper scegliere quando e come. 

Il quadro tattico, a mente fredda, è questo: pressing come principio, rischio come compagno di viaggio, qualità delle letture come cintura di sicurezza. E se “la fortuna aiuta gli audaci”, ieri l’audacia aveva addosso la maglia nerazzurra. Classifica e prestazione dicono che la strada è giusta; la sfida è tenerla così alta, così “interista”. 

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