Il giorno dopo resta l’impressione di un’Inter che ha vinto con le idee, prima ancora che coi gol.
Chivu alza il baricentro dopo l’intervallo e chiede più verticalità: la squadra risponde, altro che “rumore dei nemici”.
La prima ora è partita di pazienza, con De Gea a tenere a galla la Viola.
Nella ripresa i nerazzurri trovano la chiave nel corridoio centrale: riaggressione rapida, mezzali sopra la linea, esterni larghi a cucire.
Da regista, Calhanoglu dà geometrie: cambi gioco, primo passaggio pulito, ritmo giusto.
Poi mette la firma: missile da fuori e rigore che chiudono i conti, prova da leader tecnico e mentale.
Il turco lo spiega semplice: sul dischetto conta l’esecuzione, non chi c’è in porta — e si è visto.
Accanto a lui, Sucic è la scintilla: ricezione tra le linee, slalom e colpo che spacca la gara, prima gioia in nerazzurro.
È il segnale che una mezzala di qualità aggiunge imprevedibilità dove serviva.
Davanti, Bonny attacca la profondità e “strappa” il rigore: episodio che vale anche il rosso a Viti.
Ma il 3-0 è conseguenza del controllo: pressing alto coordinato, difesa in lettura, pochissime seconde palle concesse.
Quando l’Inter accorcia e riparte in tre passaggi, la Fiorentina annaspa e perde campo.
Nota di stile: gestione dei tempi migliore, meno frenesia nel rifinire, più coraggio nel tiro da fuori.
Chivu cercava una reazione dopo Napoli; l’ha avuta senza rinunciare al proprio impianto.
Classifica e fiducia respirano: vittoria che pesa nella corsa.
Morale alla Boskov: “rigore è quando arbitro fischia”… ma prima lo costruisce chi sa attaccare gli spazi.
