L’Inter esce da Torino a mani vuote, ma non certo ridimensionata. La sconfitta contro la Juventus ha il sapore amaro di quelle partite che ti restano addosso, rocambolesche e nervose, nelle quali le emozioni corrono più veloci delle gambe. Alla fine il tabellone dice 4-3, ma la sensazione è che la squadra di Chivu abbia dimostrato carattere, capacità di risalire la corrente e di schiacciare l’avversario nella propria trequarti.
Peccato che due rimonte non siano bastate: avanti 2-3, i nerazzurri non hanno avuto la forza (o la lucidità) di blindare il risultato. E qui arriva la nota dolente: i cambi. L’ingresso di Zielinski e Sucic in un momento nevralgico ha fatto saltare gli equilibri a centrocampo, aprendo varchi che fino a quel momento erano stati ben tamponati. L’innesto di Darmian, poi, ha tolto velocità e fluidità alla fascia destra, consegnando di fatto alla Juve più campo del dovuto.
E poi Sommer. Una serata no, una delle peggiori da quando veste la maglia nerazzurra: almeno due dei gol bianconeri erano evitabilissimi, e la fotografia finale della partita resta quella sua, con lo sguardo smarrito di chi sa di aver fatto un passo falso.
Si dirà che l’Inter è già spacciata, che Chivu rischia la panchina prima di Natale. Ma la verità, a mente fredda, è che questo gruppo ha qualità e margini di crescita. Se il tecnico saprà correggere le amnesie difensive e rinforzare la tenuta mentale nei momenti caldi, allora la squadra tornerà in carreggiata e potrà regalare spettacolo. Diversamente, sarà l’ennesima stagione di transizione, in attesa di un progetto che riporti l’Inter dove merita: a lottare per vincere.
Come diceva Winston Churchill: “Il successo non è definitivo, il fallimento non è fatale: è il coraggio di continuare che conta.”
E oggi, più che mai, serve coraggio

