Ciro Immobile

È il 15 maggio 1910. All’arena civica di Milano la neonata Nazionale italiana fa il suo debutto ufficiale in maglia bianca battendo la Francia per 6-2. Erano occorsi quattro mesi di lavoro a una Commissione di cinque arbitri per selezionare la formazione titolare tra le due squadre di undici “probabili” e undici “possibili”.

L’anno successivo, nella gara contro l’Ungheria del 6 gennaio 1911, la Nazionale adotta per la prima volta il colore azzurro in onore di casa Savoia, aggiungendo lo scudo sabaudo. Non lo cambierà piu.

Gli anni ’30 sono il periodo più glorioso e vincente della storia della Nazionale italiana, capace in quel decennio di conquistare per due volte l’Europa (1930 e 1935) e per due volte il Mondo (1934 e 1938), oltre all’unico oro olimpico sin qui raggiunto (1936).

In campo fu la stagione dominata dalla figura di Vittorio Pozzo, divenuto Commissario unico nel 1929 e rimasto alla guida azzurra sino al 1948. Fu anche il decennio dei grandi campioni: del portiere Combi e del difensore Monzeglio; del sopraffino interno Giovanni Ferrari e degli oriundi Monti, Orsi, Guaita e Andreolo. In attacco brillarono le grandi stelle di Schiavio, autore del gol decisivo nella vittoria del Mondiale 1934, di Piola, suo successore nel Mondiale 1938, ma soprattutto di Giuseppe Meazza, il più grande calciatore azzurro di ogni tempo.

La guerra non distrusse solo il Paese. In quanto Nazione sconfitta, la sola Svizzera, sul finire del 1945, accettò di giocare contro gli Azzurri. L’anno successivo, affrontammo l’Austria. Soltanto dal 1947 l’attività azzurra riprese con regolarità e coincise con l’affermazione del blocco del leggendario Grande Torino. Tuttavia la tragedia di Superga privò la Nazionale di Valentino Mazzola e degli altri campioni. Era il 4 maggio 1949.

I Mondiali del 1950 e del 1954 portarono risultati deludenti, e l’esclusione dai Mondiali 1958 fu ancora più dolorosa. Ma il periodo si chiude con la pagina più dura del calcio italiano, la sconfitta del 1966 ad opera della Corea.

Dopo la Corea, punto più basso nella storia del calcio italiano, iniziò un’insperata fase di rinascita.

Il 10 giugno 1968, l’Italia, in casa, si laureava Campione d’Europa, a trent’anni dall’ultimo successo internazionale. Accanto a Burgnich, Facchetti, Mazzola e Rivera, trovarono spazio i giovani Juliano, Domenghini, De Sisti, Riva, Anastasi.

Due anni dopo, nel 1970 la Nazionale azzurra diede vita alla più grande partita di ogni tempo, Italia-Germania 4-3, epica semifinale decisa da un gol di Rivera, che ci portò a giocare la finale contro il Brasile di Pelé, cui poco potemmo opporre.

La Coppa Rimet, destinata al Paese che avesse vinto tre edizioni, finì ai brasiliani. Iniziava una stagione nuova, contrassegnata dalla Coppa del Mondo disegnata dall’italiano Silvio Gazzaniga.

Toccò a Enzo Bearzot assumere la guida della Nazionale per il Mondiale del 1978 e, tra lo scetticismo generale, centrare un inaspettato quarto posto. La Nazionale mostrò un gioco brillante, divertente, il più spettacolare dell’intero torneo, togliendosi la soddisfazione di battere i padroni di casa e futuri campioni dell’Argentina. Si misero in mostra due giovani talenti, Paolo Rossi e Antonio Cabrini, decisivi più tardi in Spagna.

L’appuntamento con la vittoria, soltanto sfiorata in Argentina, fu infatti solo rinviato di quattro anni, quando in Spagna arrivò il più grande successo dell’intero sport italiano del dopoguerra.

In quella calda serata dell’11 luglio 1982 milioni di italiani esultarono davanti alla televisione, ipnotizzati da quel “Campioni del mondo” scandito ben tre volte da Nando Martellini.

Furono dodici le città scelte per il Mondiale del 1990, il primo organizzato in casa dal 1934. Sul campo, guidati da Azeglio Vicini, subentrato a Bearzot, una nuova generazione azzurra era pronta a raccogliere i frutti di un cammino iniziato ai tempi dell’Under 21 proprio con Vicini. Da Zenga a Ferri, da Maldini a Donadoni, da Giannini a De Napoli e Vialli. Ma furono i gol di Schillaci a spianarci la strada sino alla semifinale contro l’Argentina di Maradona. Battuti ai rigori, dovemmo accontentarci di un terzo posto prestigioso, ma ingiusto visto il buon gioco espresso da una squadra sempre vittoriosa.

Quattro anni più tardi, al Mondiale giocato nel caldo degli Stati Uniti, la guida era passata da Vicini ad Arrigo Sacchi. La Nazionale italiana iniziò l’avventura di Usa 94 tra mille difficoltà e contrattempi. E anche l’esito finale fu segnato dalla sfortuna.

A consolare i tifosi italiani pensò l’Under 21 di Maldini, vincitrice di tre Europei dal ’92 al ’96, seguiti da quello del 2000 e 2004.

Cesare Maldini, subentrato ad Arrigo Sacchi, guidò gli Azzurri in Francia nel 1998. Vinto il girone, si offrì all’Italia la sfida contro i padroni di casa. Ma ai rigori fummo sconfitti dai futuri campioni del mondo.

Sempre i francesi furono i nostri avversari due anni più tardi nella finale dell’Europeo. La guida tecnica era cambiata nuovamente, passando da Maldini a Dino Zoff. E qui, il 2 luglio 2000, l’Italia si trovò a essere in vantaggio sino a pochi minuti dal termine, quando Wiltord pareggiò la rete di Delvecchio. Ai supplementari, con la feroce regola del Golden Gol, la rete di Trezeguet impedì agli Azzurri di tornare a imporsi in Europa a distanza di 32 anni.

L’inizio del Mondiale  2006 dimostrò che il gruppo, sotto l’abile guida di Marcello Lippi,  era maturo per un’altra vittoria internazionale. Dopo il passaggio agli ottavi, un rigore di Totti ci portò ai quarti con l’Ucraina, surclassata dai gol di Zambrotta e Toni. Il capolavoro andò in scena nella semifinale contro i padroni di casa della Germania, battuti ancora una volta. Fu Grosso, uno degli eroi azzurri al Mondiale, a rompere l’equilibrio con un gol strabiliante, bissato dalla rete di Del Piero.

Si arrivò così alla finale di Berlino, 70 anni dopo l’Olimpiade vinta nello stesso stadio. Materazzi pareggiò la rete di Zidane. Ai rigori, mentre i tifosi azzurri presenti all’Olympiastadion intonavano l’ormai celebre “popopopo”, milioni di italiani da casa spingevano simbolicamente Grosso a trasformare l’ultimo penalty, quello della vittoria. Per la quarta volta nella storia, l’Italia era Campione del Mondo. La grinta di Gattuso, De Rossi e Buffon era un messaggio per il Paese. È il 9 luglio 2006.

Entrato in carica dopo il negativo Mondiale 2010, il Ct Cesare Prandelli ha trovato davanti a sé l’arduo compito di mantenere competitiva la squadra malgrado le crescenti difficoltà.

Missione compiuta. La Nazionale italiana ha raggiunto la finale dell’Europeo 2012 in Polonia-Ucraina, un risultato inatteso e a suo modo straordinario. Soltanto la super Spagna di Del Bosque ci ha impedito di arrivare alla vittoria. E sempre la Spagna ci ha negato, stavolta ai rigori, la possibilità di disputare la finale di Confederation Cup 2013, dove siamo comunque saliti sul podio grazie al successo nella finale per il terzo posto contro l’Uruguay. Soprattutto, la squadra azzurra ha centrato l’obiettivo principale di questo delicato biennio, qualificandosi al Mondiale 2014 dopo avere vinto nettamente il suo girone.

La spedizione fallimentare in Brasile è storia troppo recente per tornarci su, il suo unico lascito è stato l’avvicendamento nella guida della Federazione, passata da Abete a Tavecchio, e quella sulla panchina in cui Cesare Prandelli è stato sostituito da Antonio Conte.

DiRedazione Voci di Sport

Testata giornalistica registrata al tribunale di Catania il 06-08-2014 al n.15/2014, Voci di Sport informa i propri lettori con notizie, esclusive, focus, approfondimenti e tanto altro ancora, con l’obiettivo di fare informazione nel modo più limpido possibile.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *