Il calcio, dai primi anni successivi alla sua nascita, ha incontrato un grandissimo favore presso le masse popolari del Vecchio Continente, sino a diventare il gioco prediletto delle stesse. Proprio per questo suo carattere, fin da subito, divenne un veicolo estremamente appetibile per la propaganda dei regimi totalitari, che si resero conto del suo ascendente e della sua presa sul popolo.
Già abbiamo parlato su queste pagine del rapporto tra calcio italiano e fascismo, e il nazismo non fu naturalmente da meno.
I gerarchi nazisti, consci dell’importanza che il gioco stava assumendo, anche come forma di affermazione internazionale, e non solo prettamente sportiva, pensarono bene, dopo l’Anschluss politico, l’annessione cioè dell’Austria alla Germania, di suggellare l’evento anche con un’amichevole (non ufficiale), la “Partita della riunificazione” (Anschlussspiel), programmandola per il 3 aprile del 1938, al Prater di Vienna, che avrebbe dovuto essere l’ultima del famoso Wunderteam austriaco, lo squadrone creato da Hugo Meisl. Doveva, questa, essere una sorta di ‘canto del Cigno’ per la squadra austriaca, una delle più forti nazionali della sua epoca, che avrebbe dovuto, immediatamente dopo, essere sciolta facendo confluire i suoi migliori giocatori nella squadra tedesca, fornendole finalmente quella fantasia di cui aveva necessità per poter aspirare a vincere la Coppa Rimet del 1938, secondo i desiderata della federazione tedesca, ormai anch’essa mero strumento di propaganda nelle mani del NSDAP.
Quattro anni prima, nei Mondiali italiani, l’Austria era arrivata infatti quarta, sconfitta, a Napoli, per 3-2 dalla Germania nella finale per il terzo posto, ed era quasi scontato pensare che la fusione tra la forza fisica dei teutonici e la grande fantasia e tecnica degli austriaci, avrebbe dato i natali ad un super team in grado di sbaragliare ogni avversario.
I dirigenti tedeschi avevano però sottostimato l’orgoglio degli austriaci e l’attaccamento alla loro nazione, nata da poco meno di 20 anni, come conseguenza del Trattato di Versailles del 1918 che aveva chiuso la Grande Guerra.
Gli austriaci, infatti, a parte quelli conquistati dal nazismo, non si sentivano affatto tedeschi, basti pensare, in proposito, che lo stesso Meisl, morto poco tempo prima, non aveva esitato a rimarcare le caratteristiche e la diversità dei suoi uomini dicendo che erano tutti boemi. Se i dirigenti tedeschi pensavano si trattasse di quisquilie di cui non preoccuparsi, si sbagliavano di brutto.
Prima di raccontare come andò la partita bisogna aprire una parentesi su colui che ne divenne l’assoluto protagonista e che era una delle grandi stelle del calcio dell’epoca: Matthias Sindelar.
Nato col nome di Matej il 10 febbraio 1903 a Kozlov, nella Moravia austriaca, in una famiglia cattolica (anche se più di una fonte parla di un’origine ebrea), di lì a qualche anno si trasferì a Vienna dove il padre andò a cercare fortuna. Nella metropoli austriaca, la famiglia Sindelar viveva in un quartiere della cintura operaia, in condizioni economiche assai precarie, ulteriormente aggravate dalla morte del capostipite, avvenuta nel 1917 in una trincea lungo l’Isonzo, nel corso di una delle terribili dodici battaglie dell’omonimo fiume, che insanguinarono il fronte italiano. La vedova Sindelar, per mantenere la famiglia, che contava anche tre bambine, aprì una lavanderia,mentre il piccolo Mathias cominciava a farsi notare per la stupefacente abilità con la quale riusciva a trattare una palla di stracci per le strade del “Favoriten“, il quartiere delle fabbriche viennesi.
L’abilità di Matthias divenne talmente spiccata che la sua fama si sparse fuori dal quartiere richiamando vari osservatori, tra cui quelli dell’Hertha ASV di Vienna (che aveva lo stadio in una via vicino a casa sua), che, colpiti dalla sua tecnica portentosa e dall’abilità nel dribblare gli avversari, lo fecero entrare nelle loro giovanili. Dopo aver esordito in massima divisione con l’Hertha, cadendo in piscina, ebbe un grave infortunio al ginocchio che interessò il menisco, che sembrò porre fine, in maniera prematura, alle sue gesta. In quegli anni, infatti, anche un semplice intervento al menisco poteva porre la parola fine alla vita agonistica di un calciatore..
Non fu però così per Sindelar, il quale dopo l’intervento, si sottopose ad una terapia rieducativa che per l’epoca era una novità e, con una feroce applicazione, riuscì a tornare sui campi, anche se da allora gli sarebbe rimasta, a ricordo dell’intervento, una vistosa bendatura che aveva il compito di proteggere l’arto dai colpi degli avversari. Tornò dunque a calcare i terreni di gioco come se nulla fosse successo, dispensando perle di classe pura a destra e manca.
La sua naturale e imperiosa crescita tecnica non poteva sfuggire agli osservatori del club più prestigioso della città, il Wiener Amateure, in seguito diventato Austria Vienna, che misero sotto contratto quel fenomeno di cui tutti raccontavano meraviglie.
Sindelar divenne ben presto il giocatore più rappresentativo dell’Austria, grazie alla sua tecnica sopraffina, nata proprio grazie a quegli esercizi con la palla di stracci. Per la sua stazza minuta e la capacità di andar via tra più avversari, dribblandoli e passando in mezzo a loro, sottile e leggero come un foglio nacque invece il suo soprannome: “cartavelina“, che ben presto contraddistinse universalmente quello che era forse uno dei migliori giocatore del Vecchio Continente.
Negli anni Trenta la sua fama era, infatti, pari solo a quella di Giuseppe Meazza in Italia e di György Sárosi in Ungheria. Al pari di Meazza, Sindelar fu anche uno dei primi sportivi a ricevere compensi per reclamizzare orologi, vestiti e generi alimentari e ad avere, quindi, degli sponsor personali
Tale e tanto era il suo talento che Matthias capì ben presto che poteva sviluppare una certa allergia all’allenamento, privilegiando invece altre attività che tuttavia non intaccavano la sua capacità di mettere la palla alle spalle dei malcapitati portieri: pare difatti che durante la settimana lo vedessero più spesso le tenutarie dei bordelli viennesi che il suo allenatore, il quale però, arrivata la domenica, chiudeva ben volentieri entrambi gli occhi per permettere al suo “uomo di carta” di consegnare la vittoria all’Austria Vienna.
Nel corso di una partita disputata e persa per 4-3 dall’Austria a Londra contro l’Inghilterra, nel 1932, segnò una rete talmente bella e spettacolare che l’arbitro del match, il belga Langenus disse: “Il goal di Sindelar fu un autentico capolavoro. Sindelar partì dalla metà campo e, con il suo inimitabile stile, superò semplicemente chi gli si parava davanti, alla fine fece due dribbling tornando indietro e depose la palla in rete.”
Dopo questa prodezza ne seguirono tante altre, contro l’Ungheria, Sindelar realizzò tre delle otto reti con cui il Wunderteam demolì i magiari, fornendo, oltre tutto, gli assist per tutti gli altri cinque gol. Non era perciò una esagerazione indicarlo come il calciatore europeo più forte e più famoso della sua epoca. Era dunque inevitabile che proprio su di lui si appuntassero gli sguardi dei tedeschi, quando venne elaborata la strategia ‘dell’Anschluss calcistico‘ che avrebbe dovuto portare la Germania a vincere la Coppa Rimet del 1938.
C’era però quel particolare delle origini ebraiche di Sindelar a porre una inquietante ombra su tutta la vicenda. Se all’inizio si pensava di poter risolvere la vicenda senza troppo clamore, quel che successe nel corso della partita tra Austria e Germania, accelerò invece drammaticamente gli eventi.
Quel giorno, infatti, il Wunderteam, o meglio ciò che rimaneva di esso dopo la morte di Meisl, sceso in campo in maglia rossa e calzoncini bianchi (i colori della bandiera nazionale), sconfisse la Germania per 2-0 di fronte a 60.000 stupefatti spettatori con Sindelar che recitò il ruolo di protagonista assoluto di quella impresa. Forse, mentre giocava, a Sindelar tornarono in mente gli avvenimenti degli ultimi anni, in cui aveva dovuto assistere impotente alla montante marea antisemita fomentata dai nazisti, che aveva colpito moltissimi suoi amici e conoscenti, a partire dai dirigenti dell’Austria Vienna,che erano stati rimossi a forza dai loro incarichi, nonostante avessero contribuito all’ascesa di questa squadra, che, negli anni ’30, aveva dominato la scena europea.
O forse, più semplicemente, la sua intatta classe era semplicemente inarrivabile ed inarrestabile per i monotoni avversari, fatto sta che fu autore di una delle prove più belle della sua strepitosa carriera, quasi ad irridere la nomenclatura che voleva una partita morbida con la vittoria tedesca, fallì di proposito più volte il gol, poi, nel finale, prima servì a Sesta l’assist per il gol e poi realizzò lui stesso la rete del 2-0 che fece impazzire di gioia le migliaia di austriaci che interpretarono la vittoria di quel giorno come l’ultima, orgogliosa, affermazione dello spirito nazionale.
Alla fine della gara, tuttavia, i giocatori austriaci avrebbero dovuto sfilare davanti alla tribuna delle autorità per salutare col braccio teso i gerarchi che la affollavano, Sindelar, e, con lui, il compagno di tante battaglie Karl Sesta, si rifiutarono di compiere quel semplice gesto, che non sentivano loro.
Un gesto piccolo, ma dalle terribili conseguenze.
Per Sindelar fu la fine. Da quel momento, nonostante Herberger avesse provato a convincerlo a partecipare ai Mondiali del 1938, egli fu irremovibile nel suo rifiuto e nessuno riuscì o volle più proteggerlo.
Il 23 gennaio del 1939, fu trovato morto nella sua casa, accanto alla sua compagna, una ebrea italiana, Carla Castagnola, ormai entrata nel coma che la avrebbe condotta alla morte pochi giorni dopo. La polizia austriaca, di solito ‘teutonicamente’ meticolosa, in quest’occasione chiuse invece in fretta e furia l’inchiesta, classificando la morte di Sindelar come avvelenamento da monossido di carbonio conseguente alla perdita di una stufa difettosa.
Non ci credette nessuno, troppo forte il sospetto che ad organizzare l’omicidio fosse stata la Gestapo. Nel frattempo, la sede dell’Austria Vienna venne tempestata di telegrammi di cordoglio provenienti da tutta Europa, anticipazione di quanto sarebbe successo al funerale, quando oltre 40.000 persone, nonostante i tentativi nazisti di ostacolare il tutto, mettendo a tacere quanto successo, si presentarono per dare l’ultimo saluto a quello che era stato definito il Mozart del football….
Nel 1999 l’International Federation of Football History and Statistics (IFFHS) lo ha eletto come miglior giocatore austriaco del XX secolo e, l’anno seguente, è stato eletto “sportivo austriaco del secolo”.
Le cause e le circostanze della sua morte prematura, avvenuta a neppure 36 anni di età, non sono mai state chiarite del tutto e lasciano ancor oggi spazio a diverse ipotesi e speculazioni.