All’età di settantanove anni Gigi Riva ha lasciato la sua amata Sardegna ed il mondo degli umani per entrare in quello delle leggende del calcio.
Nato a Leggiuno, sulle rive del Lago Maggiore, di quelle terre placide e un po’ naif aveva ereditato il carattere schivo, umile, silenzioso. Nato in una famiglia contadina, orfano di padre da giovanissimo, ebbe un rapporto fortissimo con la madre e con la sorella Fausta. Il calcio rappresentò per lui un diversivo, uno svago e l’alimentazione di un sogno in una adolescenza altrimenti molto dura, trascorsa prima in collegio e poi a lavorare in fabbrica.
Chi vi scrive ebbe la fortuna di vedere giocare dal vivo Gigi Riva, il 10 novembre del 1968 allo Stadio Comunale di Torino, in occasione della sfida tra Juventus e Cagliari, vinta dai sardi per 2-1, con Riva a segno per il momentaneo pareggio. Per me quel ricordo resterà indelebile perchè coincise con la mia prima volta in assoluto a vedere una sfida di serie A dal vivo.
In un mondo in bianco e nero (all’epoca non esisteva la tv a colori) salire gli infiniti scaloni del Comunale ed affacciarsi su quel prato verdissimo fu un’emozione difficile da rendere, come il sedersi sui freddi gradoni della Curva Filadelfia, circondato da migliaia di persone, da colori e suoni che mai prima avevo percepito. Né dimenticherò mail la gioia infantile, alla rete di Riva che mi portò a balzare in piedi sventolando la mia cuffia rossoblù con il ponpon.
E, tornato a casa, ricordo ancora l’entusiastico racconto della partita a mia madre che, come quasi tutte le donne che, in quegli anni di contestazione, si stavano accostando con interesse al calcio, era tifosa del Cagliari ed in particolare di Riva, che rappresentava, alla stregua di attori e cantanti dell’epoca, un vero sex-simbol, con la sua aria da bello e maledetto e quello sguardo profondo e misterioso.
Il soprannome che per sempre lo accompagnò, Rombo di tuono, glielo impose il celebre giornalista Gianni Brera a volerne sottolineare la potenza del tiro e la sua fulminea efficacia.
Dopo i primi calci all’oratorio venne chiamato a giocare nelle giovanili del Legnano, passando poi al Cagliari, squadra di cui divenne la bandiera, militandovi dal 1963 al 1977, e della quale detiene tuttora il record di marcature con 208 reti (164 in campionato).
Nella stagione che segnò la rivincita e l’affermazione di un’intera isola contro tutti i luoghi comuni che fin lì l’avevano accompagnata, il 1969-70, ha contribuito alla vittoria del primo e unico scudetto nella storia rossoblù, laureandosi nell’occasione anche capocannoniere del torneo (e lo fu anche nella stagione 1966/67 e 1968/69) .
Era un mancino naturale, non troppo incline a usare il destro, che era solito partire dalla posizione di ala sinistra per poi convergere e concludere a rete con una potenza devastante ed una precisione da autentico cecchino. Fu uno dei primi attaccanti davvero completi, dotato di un repertorio molto vario: era forte fisicamente e rapido nello scatto, abilissimo in acrobazia e nel gioco aereo. Dotato di grande intensità agonistica, aveva una buona propensione a saltare il diretto avversario in velocità, mentre faticava maggiormente nell’esecuzione di dribbling negli spazi stretti.
Con la Nazionale italiana, di cui è tutt’oggi il miglior marcatore di tutti i tempi in virtù dei 35 gol segnati in 42 presenze totali, si è laureato campione d’Europa nel 1968 (realizzando la rete dell’1-0 nella ripetizione della finale contro la Jugoslavia a Roma) e vicecampione del mondo nel 1970. E, proprio con la maglia azzurra ebbe due gravissimi infortuni che ne frenarono e limitarono la carriera: nel 1967, a Roma contro il Portogallo, subì la frattura del perone della gamba sinistra a seguito di uno scontro con il portiere lusitano Americo Lopes, e nel 1970, a Vienna contro l’Austria, un’entrata durissima del difensore Norbert Hof gli procurò la frattura del perone della gamba destra.
Dal 1990 al 2013 è stato inoltre team manager della Nazionale con cui prese parte alla vittoriosa trasferta in Germania in cui gli azzurri si laurearono campioni del mondo nel 2006.
Anche dopo il suo ritiro dal calcio giocato non ritornò più in ‘continente’ scegliendo di vivere per sempre in quella regione brulla e rocciosa, circondata da quel mare blu cobalto che ne fa una delle perle del Mediterraneo, splendida e spigolosa come lo era stato lui.
Per un breve tempo, nella stagione 1986/87, è stato Presidente del Cagliari e dal 2019 fino alla morte ha ricoperto la carica di presidente onorario.