La Jugoslavia nacque dalle ceneri dell’Impero Austro-Ungarico alla fine della prima guerra mondiale, quando l’intelligentia di varie popolazioni slave dette origine ad alcuni stati indipendenti, che confluirono poi, dopo varie vicissitudini e colpi di stato, nel Regno di Jugoslavia nel 1929 sotto il re Alessandro I.
La seconda guerra mondiale vide  altre sanguinose vicende che ne cambiarono decisamente aspetto e conformazione. Il principe reggente Paolo Karađorđević,, il 25 marzo 1941 fece infatti aderire la Jugoslavia al Patto tripartito a fianco dell’Italia fascista e della Germania nazista, ma poco dopo l’erede al trono, Pietro II, con un colpo di Stato, detronizzò lo zio e assunse la corona, rompendo l’alleanza con le forze dell’Asse. Germania ed Italia invasero la Jugoslavia, creando diversi stati fantoccio che rendevano conto ad Hitler, fino a che il Maresciallo Tito, con il sostegno di Stalin, riuscì a liberare l’intero paese, scacciando gli invasori. Al termine del conflitto, e dopo libere elezioni, il 29 novembre 1945, la monarchia venne definitivamente abolita e nacque la Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia, nome che mantenne fino al 1963 quando venne denominata Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.
Da quel momento Tito, ne divenne padre e padrone, usando bastone e carota, per tenere insieme genti appartenenti ad etnie diverse e lontane per tradizioni, religione e comune sentire. Alla morte del Maresciallo, nel 1980, la federazione iniziò a scricchiolare da tutte le parti, si riaffermarono le diversità ed i nazionalismi, mai completamente sopiti, e iniziarono a farsi strada pericolose spinte centrifughe. In questo contesto, dieci anni dopo, il 13 maggio 1990, si svolsero fatti gravissimi che, fondendo calcio e politica, portarono alla deflagrazione della tristemente nota guerra di Jugoslavia.
Quel 13 maggio a Zagabria il clima era incandescente, non certo per la tenue primavera balcanica, quanto per l’elettricità che permeava la città croata fin dalle prime ore del mattino. Era infatti in programma la classica del campionato jugoslavo: Dinamo Zagabria contro Stella Rossa Belgrado, che in verità contava ormai ben poco per la classifica con i belgradesi già campioni e i croati secondi, ma che assumeva significati che andavano ben al di là di quelli meramente sportivi, invadendo quelli politici e sociali.
Lo spiegamento di forze della polizia era davvero impressionante, le due tifoserie si recarono allo stadio ‘Maksimir’ con volti seri e tirati, consce di rappresentare ormai due popoli, croati e serbi, e non due squadre di calcio. Da una parte c’erano i Bad Blue Boys (che si ispiravano ad un film del 1983 con Sean Penn), dall’altra c’erano i Delijie (eroi), da sempre divise da fiera e spesso violenta rivalità , come dimostravano i recenti incidenti del 19 marzo 1989 quando la Dinamo vinse a Belgrado contro il Partizan e lungo le strade verso la stazione volarono insulti che trasudavano odio e nazionalismo.
Una settimana prima in Croazia si erano tenute le prime elezioni libere che avevano visto il successo dei nazionalisti di Tudjman, la partita con i belgradesi assunse dunque il significato di cassa di risonanza per affermare, contro la capitale dello stato federale, le spinte indipendentiste. Da Belgrado, guidati da Zeljko Raznatovic, assurto poi, negli anni del sanguinoso conflitto, ad una sinistra fama come Comandante Arkan, parte un manipolo di ultras, le Tigri, che prima devastano il treno che li portava a destinazione, poi fanno a pezzi tutto quel che incontrano per strada, fino ad entrare allo stadio Maksimir dove vengono accolti con cori violenti ed offese anti-serbe. Come dirà tempo dopo Raznatovic, finito assassinato a Belgrado nel 2000: “Avevo previsto la guerra proprio dopo quella partita a Zagabria”, e detto da lui, che era sicuramente parte del micidiale meccanismo alimentato da falsi sentimenti patriottici ed interessi illegali che permeavano la Jugoslavia degli anni novanta, la cosa fa molto riflettere.
Ci sono 20.000 spettatori allo stadio già un’ora prima del fischio d’avvio, verso le 18 si accende la miccia, forse provocati da un lancio di sassi verso la tribuna Sud, da loro occupata, le Tigri iniziano a distruggere i grandi pannelli pubblicitari e a svellere i sedili di plastica per lanciarli sulle tribune vicine, ne nasce una violentissima scazzottata che va avanti per un quarto d’ora senza che la polizia intervenga. A quel punto centinaia di Bad Blue Boys, sfondano le recinzioni ed entrano in campo per andare a caccia di Tigri, armati di ogni genere di oggetto contundente; la polizia questa volta interviene facendo largo uso di manganelli, pugni e calci, appaiono in campo anche i giocatori e alcuni di quelli della Dinamo sono essi stessi coinvolti nella mega rissa.
Tra gli altri, si rende protagonista anche il giovanissimo capitano della Dinamo, Zvonimir Boban, che a contatto con un poliziotto, dopo aver subito spinte, pugni e calci, reagì spaccandogli la mascella con una ginocchiata. La partita viene sospesa ed entrano in campo anche i mezzi dei pompieri che, con violenti getti d’acqua, tentano di disperdere i facinorosi. Tra lacrimogeni, cariche e violenza gratuita si scade nei disordini di strada, i fans belgradesi solo alle 23 usciranno dall’impianto e verranno messi in un treno speciale che li riporterà a Belgrado. Il bilancio finale fu di un centinaio di feriti e molti arresti, la stampa croata e serba il giorno dopo sminuì i fatti bollandoli come semplice violenza da stadio, non così i circoli nazionalisti ed indipendentisti che invece strumentalizzarono i fatti a loro uso e consumo.
Il 26 settembre del 1990, alla prima di campionato, i tifosi della Dinamo invasero il campo del Partizan inscenando una manifestazione per la nascita di una autonoma federazione croata e, armati di spranghe, riuscirono ad ammainare la bandiera jugoslava dello stadio sostituendola con una croata. Il 25 giugno 1991 Slovenia e Croazia dichiararono la loro indipendenza dando il là al sanguinoso conflitto che portò alla fine della Jugoslavia recando morte e distruzione in tutto il paese. Gli incidenti del 13 maggio 1990 divennero un simbolo tanto che, di fronte allo stadio di Zagabria, venne eretto un monumento con una targa che recitava: “Ai sostenitori della squadra che su questo terreno iniziarono la guerra contro la Serbia il 13 maggio 1990″.
Bisognerà aspettare il 1999 per vedere di nuovo incontrarsi, su un campo da gioco, Croazia e Serbia, ma questa per fortuna tutta un’altra storia, di nuovo solo sportiva. Dalla guerra del 1991, oltre che sull’intera ex-Jugoslavia, una lunga notte calò anche sul suo calcio. E si dovette attendere il 18 agosto 1999 per poter rivedere assieme in campo le formazioni serbe e croate. Finalmente questa fu la volta buona, e allo stadio della Stella Rossa di Belgrado, detto anche Marakana (con la kappa per distinguerlo dall’originale), sugli animi spenti da quasi cinque anni di conflitto sanguinoso la tranquillità prevalse sulla violenza. Ma un autentico fair play era (ed è anche oggi) ancora lontano. E, raccontando la cronaca di quella partita, l’inviato di Repubblica scrisse che all’intonare del proprio inno nazionale gli undici giocatori croati tennero per due minuti tutti la mano sul cuore, e i cinquantamila spettatori serbi in tribuna il dito medio alzato.