La carriera di Luciano Spalletti come C.T. della nazionale italiana è dunque terminata bruscamente dopo la disfatta di Oslo, contro la Norvegia, che ha messo decisamente in salita la partecipazione degli azzurri ai prossimi mondiali.
Dal 18 agosto 2023, quando è stato ufficializzato come successore del dimissionario Roberto Mancini, Spalletti ha guidato la nazionale in 24 partite, ottenendo 12 vittorie, 6 pareggi e sei sconfitte, con una percentuale di vittorie del 50%, raccogliendo più delusioni che gioie.
Se la debacle ad Euro 2024 era stata somatizzata tutto sommato bene dalla Federazione, che, in contrasto con il mood della tifoseria azzurra, aveva preferito continuare il rapporto anziché troncarlo di netto dopo le orribili prestazioni in terra tedesca, la discreta Nations League, impreziosita da un paio di prestazioni davvero convincenti, come le vittorie in Francia ed in Belgio, pareva aver dissipato molte delle nubi che si erano addensate sulla testa del C.T.
Ma, purtroppo, nel momento decisivo, ovvero quando da partite a bassa pressione, si è passati a quelle da dentro o fuori, si sono ripresentati tutti i difetti e le manchevolezze che avevano contraddistinto l’Europeo mettendo in fila una serie di prestazioni al limite dell’accettabile.
La sconfitta interna con la Francia per 3-1, nell’ultimo turno del girone di Nations League, quando sarebbe bastato perdere con un solo gol di scarto per vincere il girone, ha relegato gli azzurri al secondo posto e ad un quarto di finale più impegnativo, contro la Germania, culminato in una sconfitta interna per 2-1 ed un pareggio in Germania per 3-3, dopo un primo tempo chiuso sotto di tre gol.
Così la già scarsa autostima degli azzurri si è volatizzata in un amen, incrinando definitivamente il loro già ondivago feeling con il C.T.
Ad Oslo, nella prima partita valida per le qualificazione ai mondiali del 2026, con l’unica attenuante delle tante, troppe, assenze, per infortunio di molti elementi importanti della rosa, si è rivista una squadra confusa, prevedibile, atleticamente scarica e totalmente disorganizzata, con una difesa disattenta ed inefficace, un centrocampo inconcludente e lento ed un attacco incapace di pungere, esattamente come era accaduto in occasione dell’ottavo di finale di Berlino contro la Svizzera.
Dopo meno di due anni sembra essersi compreso che Spalletti è un ottimo allenatore ma non un bravo un gestore; tra la nazionale ed un club c’è la stessa differenza che esiste tra il giorno e la notte, mancando quella routine quotidiana degli allenamenti e, soprattutto, quel tempo necessario per mandare a memoria schemi ed accorgimenti tattici sopraffini.
Il selezionatore di una nazionale deve infatti solo saper scegliere tra i migliori elementi che il campionato offre e metterli in campo nel modo che meglio esalti le loro caratteristiche, nulla di più, nulla di meno, e questo Spalletti non è proprio riuscito a farlo.
Non si vuole certo criticare l’impegno e la certosina applicazione del mister di Certaldo, che ha vissuto il suo ruolo come una vera missione, una sorta di incarico quasi divino, in cui si è speso con tutto sé stesso, peccato però che non sia riuscito minimamente a trasmettere questo suo amore per la maglia azzurra e questo scopo supremo ai suoi ragazzi che sono poi quelli che vanno in campo.
Neppure l’ultima uscita, già da esonerato, contro la Moldavia, gli ha regalato un po’ di gioia, lo striminzito 2-0, concedendo agli avversari una mezza dozzina di palle gol, forse addirittura più di quelle create dall’Italia, è stata forse la fine più giusta di un ciclo mai sbocciato che ha lasciato più macerie che nuove fondamenta che il nuovo C.T. si troverà ad ereditare.
Tramontata nella notte anche l’ipotesi Ranieri, che ha alfine rinunciato all’incarico, la caccia al profilo giusto resta aperta a tutte le soluzioni. Con la maggior parte dei tanti allenatori liberi, che si sono tutti accasati negli ultimi giorni, a Gravina (che forse avrebbe dovuto coerentemente dimettersi) non restano poi così tanti nomi: Pioli ( che però è ancora sotto contratto in Arabia Saudita), gli ex campioni del mondo del 2006 De Rossi, Cannavaro e Gattuso (ma sinceramente nessuno di essi dispone di un esperienza vincente in panchina).
La grande suggestione resterebbe quindi quella del ritorno di Mancini, che se ne andò tra le polemiche due anni fa, preferendo il lauto contratto della federazione Araba a quello molto meno munifico ma ben più prestigioso della Federazione Italiana.
Su questi nomi, e sulle sottili capacità diplomatiche del nostro massimo dirigente, si gioca dunque la partita più difficile per il calcio Italiano, quella di trovare l’uomo giusto in grado di ricompattare un gruppo allo sbando e di condurlo, attraverso gli ormai quasi inevitabili spareggi, al mondiale americano,
Non qualificarci, per la terza edizione consecutiva, sarebbe forse il de profundis del nostro calcio, almeno per come è stato in questi quasi 100 anni di storia azzurra.
Le ultime indiscrezioni mettono tra i papabili anche Mourinho…