Nel nostro percorso a ritroso, alla ricerca di fatti o personaggi che hanno contribuito a creare la leggenda del calcio, facciamo questa volta tappa sotto le Due Torri per conoscere uno dei più grandi bomber della storia del calcio italiano, Angelo Schiavio, che indossò la gloriosa casacca rossoblù dal 1922-23 al 1937-38.
Schiavio nacque a Bologna il 15 ottobre del 1905, in una famiglia della buona borghesia bolognese originaria di Gorla, frazione di Veleso, in una delle vallate intorno al lago di Como, nel cosiddetto “Triangolo Lariano”. Il padre, Angelo Schiavio sr., è un noto commerciante di tessuti, il suo negozio, sito in via De’ Toschi, è attivo a Bologna fin dal 1904. Angiolino è l’ultimo di 6 fratelli, il primo nato a Bologna, fin da bambino si innamora del football giocando interminabili partite per strada, e, proprio in una di quelle circostanze, venne notato da un osservatore del Bologna F.C. che restò affascinato da quel ragazzino, magro e scattante, che dribblava tutti segnando caterve di gol.
Dopo i primi passi nei “Boys” del Bologna, Schiavio, attenendosi alle volontà dei genitori, lasciò momentaneamente il calcio dedicandosi anima e corpo agli studi, e, nel 1920, dopo aver ottenuto la licenza tecnica, si iscrisse all’Istituto tecnico superiore di ragioneria. Il football per lui è però qualcosa più che un semplice divertimento, è qualcosa che lo attrae e lo divora dentro, in breve sono molte più le ore che Angiolino dedica al pallone che quelle passate sui libri e così, nel 1921, si determina ad abbandonare definitivamente gli studi entrando nell’azienda di famiglia, nel ‘famoso’ negozio in pieno centro storico a Bologna.
Nel frattempo riprende anche a giocare seriamente a calcio, e, dopo una breve parentesi trascorsa nelle fila della Fortitudo Bologna, nel 1922, appena diciassettenne, ritorna al suo primo amore, ed entra definitivamente a far parte del Bologna Football Club, iniziando dalla squadra riserve, in cui si mise subito in luce compiendo autentici prodigi e segnando a ripetizione. Si arriva così alla vigilia di Natale del 1922, e, come da tradizione di quegli anni, in occasione delle festività natalizie , arrivavano in tournée in Italia le più forti squadre danubiane, quell’anno le squadre invitate erano il Wiener A.F., forte di ben sei giocatori nell’orbita della nazionale austriaca, tra i quali Horejs e Adolf “Adi” Fischera, autentico mito del football viennese e grande virtuoso del pallone, e l’Ujpest di Budapest.
La prima partita giocata il 24 dicembre contro il Wiener, fu persa per 1 a 0 con un gol di Klein, ma Angiolino si mise particolarmente in luce, attirando su di sé l’occhio già particolarmente attento del “mago” Hermann Felsner, che intravvide in quel ragazzino le stimmate del fuoriclasse in erba.
Si replicò poi il 31 dicembre 1922, contro i magiari dell’Ujpest, il Bologna è decimato dalle assenze: oltre al grande Alberti, il centravanti titolare infortunato al menisco, sono assenti anche Perin, Baldi e Giuseppe Della Valle, il capitano e centravanti rossoblù, l’uomo simbolo di quel Bologna, convocato in Nazionale. Felsner deve così schierare al centro dell’attacco l’enfant prodige Schiavio e con lui Baccilieri e Felice “Gisto” Gasperi, arcigno e focoso calciatore, futura colonna della difesa. Nonostante il pronostico pareva chiuso, l’inedito Bologna schierato da Felsner finì per prevalere per 1 a 0, con rete proprio di Schiavio su passaggio di Pozzi.
Felsner, conquistato dal gioco brioso, tecnico e veloce di Schiavio, lo fece esordire in campionato nel match interno contro la Juventus, il 28 gennaio del 1923. Fu un esordio fortunato: il Bologna vinse per 4 a 1 anche se Schiavio non segnò.
In quel campionato di Prima Divisione della stagione 1922-1923 Schiavio finì per prendere il posto del forte e sfortunato Cesare Alberti, andando a segno ben 6 volte in 11 partite. L’anno seguente, pur giovanissimo, contribuì a portare il Bologna alle finali di Lega Nord, poi perse contro il Genoa che diventerà campione d’Italia. Sarà comunque nel 1925 che si affermerà definitivamente la stella di Schiavio grazie al primo storico scudetto del Bologna, dopo la celeberrima sfida infinita col Genoa nelle finali di Lega Nord, che comportò lo svolgimento di ben 5 partite, di cui addirittura tre di spareggio. Quell’anno Schiavio realizzò 15 reti, che a novembre gli valsero la convocazione in Nazionale. Attaccante di eccezionale classe e potenza, dotato di dribbling micidiale, Schiavio tenne una media realizzativa impressionante: nel campionato 1925-26 il Bologna raggiunse ancora la finale di Lega Nord, persa però in tre partite contro la Juventus, e lui andò a segno 26 volte in 23 partite; nel 1928-29 (secondo scudetto del Bologna) segnò 29 reti in altrettante partite. Con l’avvento del girone unico, Schiavio fu ancora protagonista in quel famoso “squadrone che tremare il mondo fa”, com’era allora chiamato il Bologna, diventando capocannoniere nel 1931/32 con 25 reti insieme al fiorentino Petrone, mentre l’anno dopo arrivò secondo, nonostante le 28 reti, dietro a Felice Borel, giovanissimo juventino che siglò il record di 29 gol in 28 gare disputate.
Nel 1932 e nel 1934, grazie ai suoi gol, il Bologna riuscì a vincere, prima e unica squadra italiana dell’epoca, la Coppa Mitropa, che allora era il massimo trofeo continentale per squadre di club. In campionato si rese ancora protagonista, conquistando col Bologna il suo terzo scudetto nel 1935/36 e, infine, il quarto nel 1936/37, sebbene avesse giocato solo 2 gare segnando altrettante reti. Chiuse la carriera a 33 anni nel 1937/38 disputando una manciata di gare che, tuttavia, grazie anche a due sue reti, valsero al Bologna la conquista del Torneo Internazionale dell’Expo Universale di Parigi, manifestazione in cui i felsinei sconfissero in finale gli inglesi del Chelsea.
Per 16 lunghi campionati Schiavio sarà il condottiero e l’uomo simbolo del Bologna, di cui sarà a lungo il capitano diventando il più grande realizzatore di tutti i tempi del glorioso sodalizio rossoblù, con 242 gol in campionato in 348 presenze accertate (i gol diventano 251 se si contano le reti nelle coppe europee e le presenze 364; e tralasciando ovviamente tutti gol realizzati nelle amichevoli, che all’epoca non erano semplici ‘amichevoli’, ma match molto importanti: era infatti l’unico modo per i club di confrontarsi a livello europeo. Contando quindi anche quei gol, il bottino di Schiavio aumenta in maniera significativa), 15 furono invece le sue realizzazioni in azzurro in 21 presenze, la più famosa delle quali nella finale mondiale del 1934, quando un Angiolino, stremato e confinato all’ala, con uno dei suoi irresistibili tiri battè il grande Planicka, regalando all’Italia il suo primo titolo mondiale (in quell’occasione fu tra l’altro vice-capocannoniere con quattro reti).
Se si vanno a leggere le statistiche si notano delle incongruenze nei dati, quelle ufficiali prendono infatti in considerazione solo la Serie A, che, con la formula del del girone unico, vide il suo inizio ufficiale ‘solo’ nel 1929-30, classifica dei marcatori compresa. A Schiavio sono pertanto attribuiti “appena” 109 gol ufficiali, visto che non sono presi in considerazione i 133 gol, realizzati nei 7 campionati pre-girone unico. Per questo motivo Angelo Schiavio non viene riconosciuto, come avrebbe dovuto, come il terzo realizzatore di tutti i tempi nella storia del campionato italiano, dietro a Silvio Piola e Giuseppe Meazza, i suoi grandi rivali negli anni ’20 e ’30.
Fatto che non crucciò più di tanto Angiolino, che era un uomo buono e leale, anche se ai più poteva apparire come una persona burbera, di lui raccontano infatti che fosse una persona socievole con tutti i suoi compagni di squadra e con i suoi avversari, tranne che con uno: Luis Monti, il centromediano argentino della Juventus.
Monti detestava Schiavio, quasi al pari di Matthias Sindelar, il “Mozart” del calcio viennese (di cui abbiamo già parlato su queste colonne), e si narra che durante uno Juventus-Bologna del 1932, partita decisiva ai fini dell’assegnazione dello scudetto, Monti, verso la fine del primo tempo, calpestò volontariamente, con Schiavio già a terra, il ginocchio del bomber rossoblù. Fortunatamente il fango del vecchio campo di Corso Marsiglia attutì il tremendo impatto e la gamba di Schiavio non si spezzò, anche se poté rientrare solo zoppicante venendo relegato all’ala, come si usava ai tempi quando un calciatore si infortunava visto che non erano previste le sostituzioni. In tal modo la Juventus, neutralizzato il giocatore avversario più forte e pericoloso, riuscì a recuperare la rete dell’iniziale svantaggio e a realizzare nel finale il gol del 3-2, che spianò la strada ai bianconeri verso il tricolore.
Quello che è stato Schiavio lo si può arguire dal giudizio che su di lui espresse, tempo dopo, Giuseppe Meazza, il più famoso e forte dei giocatori italiani di quell’epoca:
“Angelo Schiavio, è stato, tra i centro-attacco italiani che ho conosciuto, quello che più mi ha impressionato. Gran bel giocatore, sano, forte, altruista tanto da divenire presto l’idolo di Bologna e dell’Italia intera. Palleggiatore eccellente, era capace di smarcarsi con sorprendente abilità, nel corpo a corpo era deciso, possedeva un magnifico intuito ed era anche generoso in campo. Se occorreva realizzare, Schiavio guizzava, colpiva palloni impossibili; un autentico uragano. Se bisognava invece preparare l’azione, attirava gli avversari su di sé e poi lanciava i compagni. Nelle mischie era il primo a buttarsi con ardore e coraggio ineguagliabili.”
Il suo palmarès recita così:
1 campionato del mondo 1934
1 bronzo olimpico 1928
2 Coppe Internazionali: 1927-1930 e 1933-1935
4 scudetti 1924-25, 1928-29, 1935-36, 1936-37
1 titolo di capocannoniere del campionato 1931-32 (25 gol)
2 Coppe dell’Europa Centrale 1932, 1934
1 Torneo Internazionale dell’Expo Universale di Parigi, 1937.
A chiudere questo breve ricordo di uno dei più rappresentativi attaccanti della storia del calcio italiano vogliamo qui riportare lo stralcio di uno scritto di quel grandissimo cantore del calcio e dei suoi protagonisti che fu Gianni Brera:
“…L’ultima immagine di Anzléin Schiavio atleta mi balena alla memoria in un grande ellisse di camiciole con le maniche corte: l’Arena a giugno. Doveva arrivare il Giro d’Italia: forse il quarto vinto da Binda. Era in programma Milan-Bologna. Al centro dell’attacco bolognese giocava Anzléin Schiavio fatto magro dagli anni, dal gran correre e dai calci. A guardia della porta del Milan era Compiani. Io stavo appostato presso quella porta con Giorgio Strehler, che allora ignorava Shakespeare ma sapeva egualmente insegnarne di bellissime. Il Milan voleva vivere il suo stadio garibaldino, fatto di tumultuose scorribande in contropiede, di arcigne rincorse in difesa, di spallate e calcioni assai gagliardi. Il mio eroe di allora era el Ginin Perversi, volonterosamente affiorato a Milano dai dolci paduli della mia riva. Schiavio era già nel mito, come avviene di certi dei che altri più fortunati soppiantano nella venerazione degli umili. D’improvviso lo vidi scendere a rete in un gran bagliore di luce: aveva le gambe arcuate, gonfie e quasi bitorzolute di muscoli ipertrofici: teneva i gomiti larghi e difendeva la palla ad ogni tocco di dribbling con una sorta di balzo fra lo scimmiesco e il felino. Inspiegabilmente il carosello dei difensori milanisti si apriva innanzi a lui: poi strinsero in grande affanno Perversi e Schienoni, e intanto Compiani era chinato in avanti e si batteva le mani sulle cosce come chi si aspetta qualcosa. Schiavio accennò uno scarto sulla destra: levò gli occhi dalla palla che aveva toccato da ultimo col sinistro, poi miracolosamente battè rasoterra di collo destro. La palla rigò l’erba già rinsecchita dal solleone, ebbe una sorta di rimbalzo all’altezza del rigore: Compiani si distese e guizzò stancamente verso il palo di destra: giunse a palme unite sulla linea un istante dopo il passaggio della palla. Lo stesso Schiavio parve stupito dal gol. Aveva battuto un destro senza convinzione, forse esausto dallo scatto e dai dribbling precedenti in cuor suo avrebbe preferito – immagino – aprire ad un compagno, a Reguzzoni che seguiva l’azione sull’estrema sinistra, poi l’istinto l’aveva indotto a tentare lo spiraglio intravisto sulla destra…”