Un mondiale che si rispetti ha sempre l’Argentina tra le favorite. Nel 2022 come nel 2002. Che poi l’Albiceleste stecchi strada facendo, poco importa. Del resto, a Buenos Aires e dintorni, ci si nutre fin dalla tenera età di asado e fútbol. Per capire quant’è forte in Argentina la passione per il calcio, è sufficiente entrare, tra cori e fumogeni, in uno stadio durante una partita di Primera División. Un’alternativa altrettanto valida è dare uno sguardo ai talenti che, da cinquant’anni, vengono sfornati e spediti in Europa.
A proposito di top player, l’Argentina che si è presentata in Giappone nel 2002 non era una squadra qualunque. Poteva contare in rosa giocatori straordinari, di grande esperienza e qualità. Il commissario tecnico, Marcelo Bielsa, aveva l’imbarazzo della scelta: in difesa, tra gli altri, c’erano Ayala, Samuel, Placente, Pochettino e Chamot; in mezzo al campo, dighe quali Simeone, Zanetti e Almeyda; l’estro e la fantasia erano affidate a Veron, Ortega, Aimar e Gallardo; sulle corsie laterali gli instancabili Claudio Lopez, Kily González e Juan Pablo Sorín. In attacco, due dei bomber più forti della storia del calcio: Batistuta e Crespo, che per molti allenatori – compreso Bielsa – erano incompatibili.
Bielsa negli anni è diventato il modello per tanti tecnici emergenti, tra cui Pep Guardiola. È soprannominato il Loco, il pazzo, per via del suo super offensivo 3-3-1-3 che gli ha fatto vincere tre campionati in patria negli anni ’90, ma gli ha regalato anche cocenti delusioni. La principale è proprio quella del Mondiale 2002. Una competizione iridata molto sentita in patria, forse più delle altre volte, per via della crisi economica che in quel periodo aveva raggiunto il culmine. Il calcio, insomma, poteva diventare un modo per distrarsi dalla sofferenza quotidiana.
Mentre il Brasile aveva ottenuto il pass per la manifestazione asiatica a singhiozzo nelle ultime giornate, l’Argentina si era sbarazzata del girone di qualificazione senza troppi complimenti: 43 punti, 12 di vantaggio sull’Ecuador secondo classificato, con 42 gol segnati e appena 15 subiti.
Il destino, in fase di sorteggio, aveva giocato un brutto scherzo ai sudamericani, selezionati nel gruppo F insieme a Inghilterra, Svezia e Nigeria. Fin dalla prima gara, proprio contro le Aquile d’Africa, in formato sperimentale e con un attacco affidato al 17enne Ogbeche e al 19enne Aghahowa, l’Argentina aveva dimostrato confusione, indecisione nei movimenti e difficoltà a trovare la porta avversaria.
Impressione confermata nel match successivo, perso contro l’Inghilterra a causa di un rigore trasformato da David Beckham (per il numero 7 si trattava di una rivincita personale, dopo l’espulsione che era costata caro quattro anni prima agli ottavi di finale proprio contro i sudamericani).
Nella giornata decisiva, l’Inghilterra chiudeva il girone al secondo posto a pari punti con la Svezia, accontentandosi del pari con la Nigeria. All’Argentina sarebbe servita una vittoria sugli scandinavi per qualificarsi, ma il risultato finale fu un pareggio ottenuto in extremis con Crespo, subentrato ancora una volta a Batistuta a gara in corso, abile a ribadire in rete un rigore calciato male da Ortega e respinto dal portiere.
L’Albiceleste si sgonfiò tra le mani di Bielsa, a causa di infortuni (come quello di Ayala nel riscaldamento prima del match d’esordio con la Nigeria), equivoci – Crespo o Batistuta in attacco? Almeyda o Simeone a centrocampo? – e indecisioni – perché cambiare sempre il partner di Samuel al centro della difesa? – che in un torneo breve pesano in maniera decisiva.
Nonostante il terribile flop, Bielsa ottenne la riconferma, anche grazie all’appoggio dello spogliatoio e due anni dopo vinse la medaglia d’oro alle Olimpiadi. Tuttavia, al momento di programmare la rivincita a Germania 2006 diede a sorpresa le dimissioni.
E, poi, sappiamo tutti com’è proseguita la sua carriera.