Il Circuito di Interlagos è un famoso circuito automobilistico situato a San Paolo, in Brasile. Il nome “Interlagos” significa “tra i laghi” in portoghese, perché il circuito è costruito in una zona che in passato era coperta da diverse lagune.
Il circuito ha una lunghezza di 4,309 km e un totale di 15 curve, tra cui la celebre curva “S do Senna” che prende il nome dal pilota brasiliano Ayrton Senna, considerato uno dei più grandi piloti della storia del motorsport.
Inaugurato nel 1940, tra il 1973 e il 2019 ha ospitato 39 edizioni del Gran Premio del Brasile valido per il campionato mondiale di Formula 1. Dal 2021, sempre in Formula 1, ospita il Gran Premio di San Paolo.. Grazie alla sua posizione e alla sua conformazione, il circuito di Interlagos è noto per offrire un’esperienza di guida unica, con curve impegnative e un terreno accidentato che mette alla prova la capacità dei piloti di adattarsi alle condizioni.
Il circuito di Interlagos ha una lunga storia alle spalle e ha subito diverse modifiche nel corso degli anni. È stato inaugurato nel 1940 e ha ospitato il Gran Premio del Brasile per la prima volta nel 1972. Nel 1990 il circuito è stato completamente rinnovato e ha ottenuto la certificazione della Federazione Internazionale dell’Automobile (FIA), che lo ha reso uno dei circuiti più moderni e sicuri del mondo.
Oltre alle gare di Formula 1, il circuito di Interlagos ospita anche altre competizioni automobilistiche, come il Campionato Brasileiro de Stock Car, una delle principali serie di corse automobilistiche del Brasile.
Nella storia recente Interlagos è stata quasi sempre teatro di colpi di scena, momenti decisivi per le varie stagioni di Formula 1 e frammenti di storia, non senza lasciare emozioni tra gli spettatori presenti nella “torcida” di casa e quelli collegati alla tv.
Nel 2006 Micheal Schumacher strappava lacrime e applausi al mondo degli appassionati con una gara maiuscola a chiusura di quella che sarebbe stata la sua “first life” nel Circus; un anno più tardi Kimi Raikkonen portava l’ultimo titolo piloti alla Ferrari chiudendo una rimonta insperata grazie al suicidio sportivo della McLaren; nel 2008 Lewis Hamilton si riprendeva quanto perso in quell’occasione vincendo il mondiale alla terz’ultima curva in un epilogo thrilling.
Tanta emozione e adrenalina quindi, ma spesso poca gloria per gli idoli di casa: la seconda vittoria di Felipe Massa fu bagnata dalle lacrime per la beffa firmata dal sorpasso di Hamilton su Glock e da una serie di circostanze che hanno vanificato l’iride nell’unica vera occasione capitata, mentre Rubens Barrichello ad Interlagos non ha addirittura mai vinto, nè con la Ferrari nè con la Brawn, dove anzi incassò, nel 2009, la certezza aritmetica di non poter più competere con il compagno Button per la vittoria finale.
Eppure l’automobilismo carioca ha sempre partorito, ad alti livelli, piloti veloci e con personalità, proprio come nel caso di Rubinho e Felipe, forse non assistiti dalle circostanze favorevoli e da un pizzico di buona sorte quando ne avrebbero avuto bisogno. Lo sport, si sa, è sempre stato una valvola di sfogo, evasione se non anche di riscatto per il popolo brasiliano, talvolta messo in ginocchio dalle difficoltà economiche. E il Gran Premio del Brasile del 1991, seconda prova del Mondiale nel marzo di quell’anno, fu preceduto da disagi e soprattutto vittime per le alluvioni nello stato di San Paolo, dove si trova il circuito.
Immediato aggrapparsi allora a lui. Ad Ayrton Senna. La sua McLaren-Honda ha tagliato per prima il traguardo alla prova d’esordio a Phoenix, ma non si ha ancora l’impressione di un dominio totale del brasiliano e della scuderia di Ron Dennis, per effetto dell’approssimativa preparazione pre-stagionale del team inglese. Ma nelle qualifiche del sabato è comunque Ayrton, che ha compiuto 31 anni il giovedì, a siglare il miglior tempo, seguito dalle Williams di Mansell e Patrese e dall’altra McLaren di Berger, soltanto in terza fila le Ferrari di Prost e Alesi.
Per molti tifosi può essere la volta buona per tornare a gioire: l’ultimo trionfo di un profeta in patria risale al 1986 con Nelson Piquet, tra l’altro sulla pista di Jacarepaguà, nello stato di Rio. La partenza in gara di Ayrton è incoraggiante, con un vantaggio gradualmente portato fino ai sette secondi su Mansell, che però infila serie di giri veloci e assottiglia il divario dal brasiliano.
La corsa dell’inglese, che conquisterà il titolo mondiale l’anno dopo, viene però resa impervia dalla gestione non perfetta delle gomme, che lo costringe a più di un pit-stop, compresa una sosta nel primo terzo di gara che gli farà perdere 14 secondi. Senna non fa mai il vuoto ma la sua andatura è regolare. Eppure al giro 60 il cambio della sua McLaren comincia a fare le bizze: non gli si inserisce più la quarta marcia, in seguito anche la terza e la quinta.
Un problema non da poco, anzi quasi compromettente per la cavalcata di Ayrton, anche dopo che lo stesso cambio lascia a piedi il diretto inseguitore Mansell nel giro successivo. Nella pista tortuosa di Interlagos percorrere l’intero tracciato in sesta è un lavoro impossibile oltre ogni limite della meccanica e della guida. O quasi.
Mancano dieci giri, Senna ha più di mezzo minuto di vantaggio su Patrese, passato adesso in seconda posizione. La difesa della leadership assume sempre più i contorni del dramma e della sofferenza: Ayrton a tratti procede al rallentatore dopo l’uscita dai tornanti, Patrese gli rosicchia in media più di tre secondi al giro, toccando le punte di cinque o di sei. L’immane sforzo fisico lo esaspera ma non lo spezza, come nello scenario di un degno film di avventura invaso dalla tensione e dal pathos ci si mette anche la forte pioggia che comincia ad imperversare. La gara però va avanti, fino alla fine. Il pubblico di casa teme una delusione difficile da assorbire e rimane col fiato sospeso, prestandosi a condividere, interiormente, un po’ del dolore di Ayrton.
Sembrava che Patrese stesse per raggiungerlo, ma alla bandiera a scacchi è ancora lontano. Per tre secondi di margine, al termine del giro 71, arriva la liberazione per tutto il Brasile sportivo e per un uomo che marchia indelebilmente con un altro gesto quella che sarà la propria leggenda. Il pubblico è in delirio, il team radio di Senna seguito all’arrivo è un misto di urla di dolore e gioia, imprecazioni ed esultanze.
Nel giro d’onore deve fermarsi e ricorrere all’aiuto dei commissari per scendere dalla macchina, per poi ricevere un primo intervento dei sanitari e raggiungere il paddock a bordo di un’auto medica. Salirà sul podio successivamente, con Patrese, secondo, e Berger, terzo. Il sollevamento della coppa, con il braccio destro piagato dalla guida in condizioni improponibili, non solo è una delle immagini dell’eredità lasciata da Ayrton Senna, ma è anche uno spot della caparbietà, della determinazione, dell’animo inossidabile di chi insegue un obiettivo non facendosi soppiantare dalle difficoltà, nello sport come nella vita.
Come gli stadi di calcio o i palazzetti per il basket e il pugilato, anche le piste di Formula 1 hanno una storia. E questa domenica, quando tra Hamilton e Rosberg si svolgerà il penultimo atto nella lotta per il titolo, a tratti aleggeranno i boati e i ricordi di quel 24 marzo 1991.